Il paesaggio borbonico di Terra di Lavoro

I palazzi di Capodimonte, Portici, Caserta e Persano, posti nelle immediate vicinanze della città e circondati da ampie riserve di caccia, permettevano un quotidiano sfogo dell’attività venatoria, perseguita dal re con una tale costanza da far sì che, oltre ad essere considerata tra gli aspetti determinanti della sua personalità, veniva intesa da alcuni come un ottimo rimedio contro l’ereditaria ipocondria[42]. Carlo aveva un’idea esagerata della propria dignità reale, ma era anche infastidito dalla pompa regale e detestava ogni cerimonia[43], per cui lontano dagli impegni inerenti la sua funzione, si rifugiava in quei luoghi che gli permettevano di dare sfogo alle sue esigenze private.

Queste considerazioni spiegano quanto si verificò durante i regni di Carlo e di suo figlio Ferdinando. In tale periodo entrarono a far parte del patrimonio reale, mediante esproprio, permute con altri feudi o acquisto, tanti territori come l’isola di Procida, gli Astroni, Agnano, Licola, Calvi, Capriati, il lago di Patria, Cardito e Carditello, Persano, Venafro, Torre Guevara, il fusaro di Maddaloni, la selva Omodei di Caiazzo, S. Arcangelo di Caserta, il colle di Quisisana presso Castellammare e altre numerose località a cui, insieme ai palazzi di Capodimonte, Portici e Caserta, fu riservato un ramo speciale dell’amministrazione borbonica con la denominazione di “Siti Reali”.

Casina di caccia vanvitelliana sul lago di Fusaro
Casina di caccia vanvitelliana sul lago di Fusaro

Casina di caccia vanvitelliana sul lago di Fusaro

In tali luoghi interessanti per la selvaggina spesso  vennero costruiti edifici o ampliate e adattate vecchie costruzioni per consentire la permanenza del sovrano e del suo seguito durante le battute di caccia.

Fu restaurata la grotta di Pozzuoli, prolungata la via tra Salerno e Persano e adeguata la strada tra Capua e Venafro per consentire i continui spostamenti della corte, migliorando i collegamenti tra la capitale e le proprietà reali[44].

Gli edifici “reali” furono progettati da buoni architetti e decorati dai migliori artisti presenti nel regno; le loro riproduzioni avevano per oggetto le vedute di Napoli, ritratte anche sui vasi di porcellana o sui piatti[45].

Gli affreschi che arricchivano queste residenze sono andati, però, quasi del tutto perduti, ma nei musei napoletani restano dei quadri con scene di caccia incorniciati da splendidi boschi o di ampie pianure. Quasi sempre il protagonista è il re che, circondato da battitori e cacciatori reali, cavalca per rincorrere cinghiali o daini oppure colpisce gli uccelli dai margini di un boschetto e da una barca[46].

Hackert – Caccia alle folaghe sul lago di Fusaro (Museo di Capodimonte)
Hackert – Caccia alle folaghe sul lago di Fusaro (Museo di Capodimonte)

Hackert – Caccia alle folaghe sul lago di Fusaro (Museo di Capodimonte)


Il feudo di Capriati, acquistato da Carlo di Borbone ed ampliato poi da Ferdinando IV, faceva parte di un'estesa riserva di caccia che si sviluppava al confine tra Campania e Molise ed includeva anche le località di Venafro e Ciorlano nei cui pressi sorgeva la splendida Tenuta del Torcino. Questo comprensorio[47] costituiva il limite settentrionale dei territori di caccia dei Borbone[48] a cui si accedeva attraverso un sontuoso ponte fatto erigere dal re. Il bosco abbondava di cinghiali della più bella specie, di caprioli, di lepri, volpi, lupi, nonché di molti volatili[49].

La Torre di guardia S. Lucia, il muro di cinta borbonico posto sulla cima della montagna, la sorgente, costruita anch’essa in epoca borbonica, costituiscono ancora oggi i riferimenti storici della tenuta, raffigurata nei meravigliosi dipinti del maestro Hackert[50].

Caccia al cinghiale a Venafro - Hackert
Caccia al cinghiale a Venafro - Hackert

Caccia al cinghiale a Venafro - Hackert

Spostandosi dall'interno verso il litorale domizio, a sud, è possibile raggiungere Mondragone[51]. La città, a dispetto dell'odierna vocazione balneare, fu apprezzata riserva di caccia dei Borbone che ne bonificarono il territorio.  

Sempre in Terra di Lavoro[52], regione storico-geografica della Campania, lungo la via Casilina, ai piedi del Monte Maggiore, si trova Calvi Risorta, l'antica Cales, dov’è ubicato il Casino Reale del Demanio di Calvi.

Casino Reale del Demanio di Calvi
Casino Reale del Demanio di Calvi

Casino Reale del Demanio di Calvi


Rappresentazione cartografica della Terra di Lavoro
Rappresentazione cartografica della Terra di Lavoro

Rappresentazione cartografica della Terra di Lavoro


Affresco di Hackert della Terra di Lavoro
Affresco di Hackert della Terra di Lavoro

Affresco di Hackert della Terra di Lavoro

Altro splendido sito voluto dai Borbone era quello di Caiazzo, dove re Carlo fece costruire la tenuta della Fagianeria, abbellita con edifici e casini di caccia realizzati dal Vanvitelli. Unica testimonianza dell'opera dell'architetto di corte rimane la Palazzina Borbonica, fulcro dell'intera tenuta che, pur in stato di discreta conservazione, ha smarrito le sue principali caratteristiche interne.

Immagine sbiadita dal tempo della palazzina borbonica della Fagianeria
Immagine sbiadita dal tempo della palazzina borbonica della Fagianeria

Immagine sbiadita dal tempo della palazzina borbonica della Fagianeria

Accanto a queste località elette dai Borbone come luoghi ideali per l'attività venatoria ce ne furono altre che sono diventati eccellenti centri di produzione vinicola. Quest’antichissima tradizione campana risalente alla prima colonizzazione greca (VIII sec a.C.) diventò un’autentica passione anche per i Borbone che fin dalla metà del Settecento, a San Leucio, iniziarono a sperimentare la disposizione a ventaglio dei vigneti per migliorare la produzione e la resa vinicola. 


[42] M. Schipa, op. cit., vol. 1, libro I, p. 68: << Per confessione di lui stesso, sue passioni vere furono la caccia e la consorte. E a scusa della prima, il conte Fernan-Nuňez addusse che Carlo, avendo conosciuto per esperienza la tendenza della su casa alla malinconia, e vistene i tristi effetti nel padre e nei fratelli, si propose di evitarla con un’azione continua e possibilmente volenta>>.

[43]H. Acton, op. cit. La sua noia alle funzioni di Stato era visibile a tutti i cortigiani, uno dei quali scrisse: <<Quando doveva vestirsi per una cerimonia indossava sopra al suo vestito di cacciatore, e con cattivo umore, un vestito di ricca stoffa, magari con i bottoni di diamante. Questo vestito avrebbe dovuto nascondere tutto ciò che stava sotto, e tuttavia qualcosa continuava sempre ad apparire. Così abbigliato si presentava a Corte, in cappella, al baciamano, e quando la cerimonia era terminata, con un grande sospiro di sollievo esclamava: “Grazie al Cielo è finita!”, come se si fosse liberato da un grosso peso… Per Sua Maestà il doversi mettere i vestiti nuovi, o scarpe nuove era un vero martirio. Per molte settimane, questi oggetti di vestiario nuovi rimanevano vicino ai vecchi sulla tavola, fin quando il Re vi si fosse lentamente abituato>>.

[44] M. Schipa, op. cit. vol. I, libro III, pag. 256.

[45] Ne è un esempio il “servizio dell’oca” del Museo di Capodimonte.

[46] Più tardi, con Ferdinando, seguendo la moda di Versailles popolata da falsi pastori, invalse l’uso di rappresentare personaggi regali con costumi rustici, intenti ad osservare i lavori campestri. Questa moda è ampiamente documentata dagli affreschi di Filippo Hackert a Carditello, tuttora esistenti, sebbene le figure dei sovrani siano state ritagliate ed asportate.

[47] Ritratto anche in alcuni dipinti di J.P. Hackert, celebre la "Caccia al cinghiale a Venafro" conservato presso la Reggia di Caserta.

[48] In questi stessi territori sorge oggi l'Oasi WWF de Le Mortine - Capriati al Volturno – Venafro.

[49] Nei tempi passati vi furono fatte molte cacce, da Carlo III e da Ferdinando IV, da Gioacchino Murat, Francesco I,  Ferdinando II. Anche  il Re Vittorio Emanuele nel dì del 7 novembre 1860, dopo la battaglia del Garigliano, trascorse diverse ore nel bosco, ove si divertì a cacciare e rimase così impressionato da questa riserva , che mostrò desiderio di averla.

[50] La “Caccia al cinghiale a Venafro” del 1786, che si trova alla reggia di Caserta, raffigura il ponte reale attraverso il quale si giunge a Torcino e da cui i cacciatori sparavano le prede intrappolate dalle reti; un secondo dipinto raffigura il fiume Volturno visto da una delle alture della Tenuta.

[51] Antica colonia romana con il nome di Sinuessa, di cui sono visitabili le rovine, l'attuale centro abitato sorge ai piedi del Monte Petrino, sul quale sono i resti della Rocca del Dragone.

[52] Fu un’unità amministrativa, prima, del Regno di Sicilia, poi, del Regno di Napoli, quindi, del Regno delle Due Sicilie ed, infine, del Regno d'Italia.

Return to top