Il paesaggio borbonico di Terra di Lavoro

 “Il Paesaggio è uno dei più bei regali che la Natura abbia fatto ad alcuni paesi” [1]

 

In questo principio datato, ma ancora oggi molto invalso, sono insiti tre concetti di fondo: i paesaggi sono naturali, belli e vanno conservati[2]. Chi è chiamato a pianificare e ad applicare i criteri di territorialità deve individuare le potenzialità paesaggistiche, esaltare le valenze dell’area oggetto di disamina, individuare, nel caso di aree degradate, l’originario genius loci, ma, in ogni caso, permetterne la fruibilità anche alle generazioni future. 

Il concetto di “paesaggio costruito” si fa largo in questa concezione al pari di quello che comunemente definiamo “paesaggio naturale”, che naturale non è mai in assoluto, in quanto l’azione dell’uomo ha determinato, sin dalla sua comparsa sulla terra, profonde e sempre più incisive modificazioni. 

Si rileva l’importanza della costruzione del paesaggio effettuata in Campania dai Borbone, spesso criticati per la loro politica assolutistica, ma dimenticati per i loro interventi sui paesaggi, non solo campani, ma di tutto il Mezzogiorno. I Borbone sono stati, infatti, grandi costruttori di paesaggi, scenario “naturale” delle loro residenze reali, attuando importanti riforme territoriali e agricole.

Per “siti borbonici” s’intendono quegli impianti architettonici che, posti a corona del Palazzo Reale di Caserta, hanno determinato un notevole sviluppo del territorio delle aree circostanti che ancora oggi beneficiano di tale presenza. 

I luoghi idonei alla costruzione delle residenze reali dovevano possedere alcune caratteristiche, in particolare gli ambiti ove effettuare attività venatoria. Lo spazio doveva essere molto esteso: non era necessario che i territori fossero coltivati e/o verdi, perché erano gli stessi re a portare sul luogo le specie vegetali più idonee che servivano anche ad attirare gli animali da cacciare. Per raggiungere queste località venivano costruite strade, ma i notevoli lavori eseguiti dai Borbone, furono determinati da obiettivi pratici, ovvero poter raggiungere facilmente le residenze extraurbane, di certo  non furono volti a dare risposta ad esigenze sociali ed economiche[3]. La vastità delle aree era motivo limitante la scelta, ma, data la distribuzione e l’entità della popolazione campana dell’epoca, l’ostacolo era facilmente aggirabile.



[1] A. Filangieri, La protezione del paesaggio in Campania, Pubbl. Dip. di Economia e Politica Agraria, Portici 1994.

[2] La protezione è qui intesa come mantenimento di uno status iniziale da preservare.

[3] G. Alisio, Siti reali dei Borboni, Aspetti dell’architettura napoletana del Settecento, Roma 1976.

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